Adoro scrivere e adoro cucinare. Una mia amica definisce il cucinare autentica meditazione "da cucina" ed io approvo in pieno; perciò non capisco come si possa meditare cucinando un "cucciolo". Mi riferisco a chi cucina e mangia agnellini, capretti, vitelli e via dicendo. Io non mangio carne e questo è un problema mio ( mi pare di sentire il verso degli animali in pancia! pensate voi) ma come si fa a cucinare un agnellino, metterci dentro del grasso di Colonnata perchè non venga stopposo? Se è stopposo, perchè lo mangi dico io!
Non lo capirò mai!
domenica 4 novembre 2007
martedì 23 ottobre 2007
khalid
Khalid
Khalid se ne stava disteso vicino ad un cumulo di sabbia, le mani intrecciate dietro la testa ed osservava il cielo ancora azzurro. Il vento muoveva velocemente le nuvole bianche e rosa che sembrano correre chissà dove e il panorama cambiava in continuazione.
A quell’ora solo il vento faceva un po’ di rumore, fischiando. Jahmil aveva negli occhi solo il cielo e pensava. Pensava a quando ancora andava a scuola, quando l’edificio era in piedi e la maestra raccontava che in un'altra lingua quel cielo si chiamava sky e il mare, sea. Anche le nuvole avevano un altro nome ma non lo ricordava più.
La maestra aveva un sorriso dolcissimo ma un giorno al suo posto si era presentato un ragazzo, alto e magro, con una barba nera e folta come quella che stava crescendo a suo fratello. Non aveva il sorriso della maestra anzi sembrava che non sapesse sorridere, e diceva che il mare era mare e basta e che non si doveva chiamarlo “sea”. Jahmil fissò le nuvole che giocavano nell’azzurro del cielo che all’orizzonte si tuffava nel mare:
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Un giorno l’aveva vista disegnata su una carta e la maestra aveva detto che era grande ma che sulla terra ce n’erano di più grandi e potenti. Il ragazzo senza sorriso, invece, diceva che la loro era la più grande e potente nazione del mondo. Jahmil era curioso di sapere chi dei due avesse ragione. Dall’alto delle nuvole avrebbe potuto capirlo.
Chiuse gli occhi e gli sembrò di vedere tanti colori e di sentire il canto di Amina, la più grande delle sue sorelle, l’unica che lo stringeva tra le braccia e che lo faceva sentire al sicuro. Ora non la vedeva più. Un giorno lo aveva preso da una parte e piano piano , come per non farsi sentire, gli aveva detto che doveva andarsene ma che lui non avrebbe dovuto dimenticarla. Poi, qualche giorno dopo, un uomo con i denti gialli e neri era venuto a prenderla e facendole sparire il viso sotto un velo, se l’era portata via. Aveva chiesto dove andava alla mamma, ma lei era rimasta muta, come sempre.
Il vento si era calmato e le nuvole avevano rallentato la loro corsa. Morbide, bianche. Aveva sempre desiderato guardare il mondo da lassù. Era sicuro che dalle nuvole avrebbe potuto fare tante cose anche avvertire il suo amico Hamman di quella pallottola sparata da dietro le macerie di una casa. Dalle nuvole avrebbe visto l’uomo con il fucile e avrebbe gridato a Mohammed di correre via il più veloce possibile.
Senza di lui Khalid si sentiva solo, gli altri bambini non erano come Mohammed , lui era allegro e gli piaceva guardare il cielo tuffarsi tra le onde. Lo facevano spesso insieme. Ai compagni di adesso non interessava. A loro piaceva giocare con le armi, sparare e ammazzare gli animali. Tornò a guardare le nuvole, verso il mare. Poi si alzò, si spolverò alla meglio i vestiti sporchi, tirò in su con il naso e mentre il vento, che era ripreso forte, gli asciugava quelle lacrime che era bene che nessuno vedesse, sperò di avere la fortuna di trovare un fucile amico sulla via del ritorno e di poter così abbracciare Mohammed. Avrebbero guardato insieme dall’alto delle nuvole il mare con tutti sui suoi pesci colorati e insieme avrebbero riso a crepapelle.
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Khalid se ne stava disteso vicino ad un cumulo di sabbia, le mani intrecciate dietro la testa ed osservava il cielo ancora azzurro. Il vento muoveva velocemente le nuvole bianche e rosa che sembrano correre chissà dove e il panorama cambiava in continuazione.
A quell’ora solo il vento faceva un po’ di rumore, fischiando. Jahmil aveva negli occhi solo il cielo e pensava. Pensava a quando ancora andava a scuola, quando l’edificio era in piedi e la maestra raccontava che in un'altra lingua quel cielo si chiamava sky e il mare, sea. Anche le nuvole avevano un altro nome ma non lo ricordava più.
La maestra aveva un sorriso dolcissimo ma un giorno al suo posto si era presentato un ragazzo, alto e magro, con una barba nera e folta come quella che stava crescendo a suo fratello. Non aveva il sorriso della maestra anzi sembrava che non sapesse sorridere, e diceva che il mare era mare e basta e che non si doveva chiamarlo “sea”. Jahmil fissò le nuvole che giocavano nell’azzurro del cielo che all’orizzonte si tuffava nel mare:
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Un giorno l’aveva vista disegnata su una carta e la maestra aveva detto che era grande ma che sulla terra ce n’erano di più grandi e potenti. Il ragazzo senza sorriso, invece, diceva che la loro era la più grande e potente nazione del mondo. Jahmil era curioso di sapere chi dei due avesse ragione. Dall’alto delle nuvole avrebbe potuto capirlo.
Chiuse gli occhi e gli sembrò di vedere tanti colori e di sentire il canto di Amina, la più grande delle sue sorelle, l’unica che lo stringeva tra le braccia e che lo faceva sentire al sicuro. Ora non la vedeva più. Un giorno lo aveva preso da una parte e piano piano , come per non farsi sentire, gli aveva detto che doveva andarsene ma che lui non avrebbe dovuto dimenticarla. Poi, qualche giorno dopo, un uomo con i denti gialli e neri era venuto a prenderla e facendole sparire il viso sotto un velo, se l’era portata via. Aveva chiesto dove andava alla mamma, ma lei era rimasta muta, come sempre.
Il vento si era calmato e le nuvole avevano rallentato la loro corsa. Morbide, bianche. Aveva sempre desiderato guardare il mondo da lassù. Era sicuro che dalle nuvole avrebbe potuto fare tante cose anche avvertire il suo amico Hamman di quella pallottola sparata da dietro le macerie di una casa. Dalle nuvole avrebbe visto l’uomo con il fucile e avrebbe gridato a Mohammed di correre via il più veloce possibile.
Senza di lui Khalid si sentiva solo, gli altri bambini non erano come Mohammed , lui era allegro e gli piaceva guardare il cielo tuffarsi tra le onde. Lo facevano spesso insieme. Ai compagni di adesso non interessava. A loro piaceva giocare con le armi, sparare e ammazzare gli animali. Tornò a guardare le nuvole, verso il mare. Poi si alzò, si spolverò alla meglio i vestiti sporchi, tirò in su con il naso e mentre il vento, che era ripreso forte, gli asciugava quelle lacrime che era bene che nessuno vedesse, sperò di avere la fortuna di trovare un fucile amico sulla via del ritorno e di poter così abbracciare Mohammed. Avrebbero guardato insieme dall’alto delle nuvole il mare con tutti sui suoi pesci colorati e insieme avrebbero riso a crepapelle.
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io amo scrivere
Sto per pubblicare un racconto su un'antologia di gialli. La cosa mi diverte ho scritto tanto per questo genere ma non ho mai pubblicato niente. Una volta uscito il libro vi cederò il racconto ma intanto vorrei i vostri commenti su questo.
ciao
Andrea Vega
ciao
Andrea Vega
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